mercoledì 30 ottobre 2013

Agricoltura organica: all'ultimo grido?

Sarebbe meglio resettare il nostro vocabolario e parlare di 'agricolture naturali'

Da più parti negli ultimi tempi cresce anche in Europa l'interesse verso una relativamente nuova tendenza agricola pseudo-filosofica alternativa: dopo l'agricoltura biologica, sinergica, biodinamica, la permacultura, si sente sempre più frequentemente parlare di 'agricoltura organica'. Ma si tratta davvero di una nuova frontiera?
A primo acchito l'espressione 'agricoltura organica' risulta essere semplicemente un calco dallo spagnolo (agricultura orgànica) che indica con questo nome nient'altro che l'agricoltura biologica. Tale calco con lo stesso significato si palesa anche rispetto alla lingua inglese (organic agriculture).

In realtà l'agricoltura organica nasce ben prima di quella biologica comunemente intesa. Infatti, ben oltre Restrepo (El ABC de la agricultura orgànica tanti altri suoi testi) e i nuovi altri sedicenti 'guru' di tale disciplina e ONG che distraggono fondi da cose ben più serie e importanti e che se ne arrogano la paternità con toni nazionalpopolari da libertores (senza peraltro aver ottenuto grossi risultati specie in America latina), l'agricoltura organica è stata introdotta all'inizio dello scorso secolo dal tutt'altro che populista Sir Albert Howard (1873-1947), botanico inglese vissuto in India molti anni (An agricultural testament, Oxford University Press 1940) e che, accortosi delle distorsioni aberranti dell'agricoltura convenzionale e sempre più industriale, capì che il recupero dei sistemi tradizionali poteva essere un rimedio ed elaborò la sua teoria in 3 punti: la salute del terreno, il rispetto generalizzato per la natura e il metodo 'indore'.
Successivamente, a metà del Novecento, Lady Eve Balfour (1899-1990) con le sue pubblicazioni rese nota ai più l'agricoltura organica, in particolare col suo The living soil (Faber&Faber 1943) e attraverso la Soil Association di cui fu fondatrice. Già in quegli anni uno dei principi fondamentali dell'agricoltura organica era la concezione olistica del vivente come unico ambiente produttivo e generativo all'interno del quale prendono forma le pratiche di coltivazione e di cura della terra e della persona.

Lady Eve Balfour
Il nuovo interesse verso questa formula linguistica (agricoltura organica) non è altro, dunque, che un ennesimo tentativo di smarcarsi dalle agricolture convenzionali ed alle alternative che ad esse si sono andate affermando negli anni (biologica, biodinamica, sinergica, ecc.) perché avvertite come troppo linguisticamente 'inflazionate' e anche fagocitate dalle mode del momento e dai sistemi industriali di produzione massiva, proponendo riflessioni su equilibrio minerale del suolo e delle piante, fertilizzazioni naturali e quant'altro: tutti temi interessanti e utili ma che sono già stati affrontati e studiati in agronomia e comunque già appartenenti al nostro sapere moderno e pre-moderno e che ora sono riproposti come fossero inedite ricette di salvezza.
Tale smarcamento concettuale e linguistico verso una nuova espressione ancora relativamente vergine (agricoltura organica) è tanto giusta quanto ingenua poiché si commette per l'ennesima volta l'errore di sempre, quello cioè di voler inventare qualcosa di diverso: nel desiderio di contrastare l'agricoltura convenzionale si fa un ulteriore salto in avanti anziché guardare nel ricco passato della nostra cultura. Ma non c'è bisogno davvero di inventare più nulla. Basta studiare e conoscere umilmente il proprio passato.
Non a caso infatti anche Howard e Balfour parlano a volte di agricoltura naturale e tuttavia finanche loro pare non ne sappiano rintracciare appieno i solidi fondamenti sapienziali di cui la nostra cultura ci fornisce invece ampie testimonianze.
Tutta la filosofia rinascimentale italiana, infatti, è imbevuta, anzi trabocca di tali saperi, basta non ignorarli. Se volete potrete leggerne qui una breve ma significativa testimonianza: E se qualcuno ci parlasse di agricoltura organica e di ibrido fertile in italiano del sedicesimo secolo?.

Il naturalismo rinascimentale codifica compiutamente gli orizzonti filosofici, esistenziali, botanici e agronomici di un approccio agri-culturale naturale che esprime e racchiude tutte le pallide reminiscenze e 'riscoperte' un po' superficiali e ignoranti degli ultimi decenni.
Dunque, per concludere, se parlare di agricoltura organica oggi ci offre un'altra occasione per migliorare le nostre pratiche e realizzare un futuro migliore, ben venga. Attenzione però che le 'scoperte caciarone' che man mano in questi tempi recenti stanno venendo fuori, nel migliore dei casi sono troppo ingenue riflessioni dimentiche del passato, nel peggiore dei casi invece diventano addirittura vere e proprie mode, per chi le propone e per chi le ostenta, facendo del business vendendo saperi tramite associazioni di divulgazione create ad hoc e rendendo inoltre difficile di fatto l'open source in rete e si vendono invece saperi tramite associazioni itineranti che lucrano sul pathos della pseudo-novità.
Tra l'altro giunge ci notizia di condizioni in agricoltura rimaste assai difficili, uno su tutti, ad esempio proprio in Nicaragua, dove pure l'agricoltura organica si pregia di essere intervenuta, tant'è che si sta studiando una possibilità di collaborazione col Cilento.
Sarebbe invece molto più saggio (ma più sobrio e quindi meno attraente dai neofiti) riscoprire la figura del contadino-sapiente e rivalutare invece le nostre vere radici filosofiche e culturali che custodiscono saperi arcaici e, mai come oggi, assolutamente contemporanei, senza essere sempre esterofili e credendo che chi viene da lontano ci può sempre liberare e rivelarci la verità. Basta solo un po' di umiltà, resettare il nostro vocabolario e 'accontentarsi' delle semplici ma profonde agricolture naturali.

1 commento:

  1. A parer mio la critica che muovi contro i vari tipi di agricolture è corretta, io ad esempio che ne ho approfondite alcune mi riufiuto di usare termini inglesi per cose che i nostri avi facevano già da tempo. Il punto secondo me è questo, Questa serie di agricolture funzionano per alcuni discorsi e muovono riflessioni che non sempre uno è abituato a svolgere. Io sto concludendo la laurea magistrare in agraria, e ti dico con serenità che dentro l'università gli spunti per operare un'agricoltura più sostenibile sono ancora pochi rispetto a quello che si potrebbe ed è necessario fare.
    All'esterno dell'università con le diverse agricolture "naturali", uno ha modo di vedere più da vicino alcuni aspetti e sviluppare nuove idee che altrimenti mancano o vengono poco trattate.
    Con l'avvento di macchine e prodotti chimici l'agricoltura è stata rivoluzionata e le conoscenze di cui parli molte sono andate perse, hanno letteralmente saltato una generazione, ben venga il testo rinascimentale, ma tante cose sono cambiate e bisogna tenerne conto.

    Quello che voglio dire in breve: benvengano 100 tipi di agricoltura "naturale" ognuna è un contenitore di alcune verità e di saperi, e se ognuna portasse 1 persona a coltivare un orto o un'azienda a modo suo, sarebbero 100 persone che si scambierebbero saperi, e la risultante potrebbe essere la risoluzione dei problemi in maniera integrata e sostenibile, indipendemente dai primi che l'hanno detto o fatto.
    E' giustissimo guardare al passato, perchè è vero che tante cose le abbiamo già fatte anche noi, ma è importante avvicinare le persone all'agricoltura dando diversi punti di vista e diverse conoscenze.
    Con l'esperienza impareranno a valutare ciò che succede e con il dialogo e l'informazione a risolvere problemi.
    L'importante è non fossilizzarsi su nulla ma tenere la mente aperta.

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