sabato 22 dicembre 2012

Cos'è un pomodoro?

Del pomodoro e della sua identità...


A questa semplice domanda verrebbe facilmente da rispondere che si tratta di un ortaggio, non di origine europea ma che giunse qui da noi secoli fa dalle Americhe. Altri risponderebbero con una descrizione, un alimento dal sapore acidulo e dolce di colore rosso e succoso. Un botanico risponderebbe che si tratta del frutto di una solanacea, un gastronomo che è un ingrediente importante per molti piatti cucinati e crudi della dieta mediterranea, un contabile di un supermercato che è un prodotto, un bene di consumo che trova posto negli scaffali dedicati ai prodotti freschi, un contadino mediterraneo affermerebbe che è la base dell’alimentazione estiva e che è importantissimo per le conserve destinate all’inverno.
Potrei continuare ancora per molto, ma mi interessano gli ultimi due punti di vista, quello del supermercato e quello del contadino. È possibile che lo stesso oggetto sia definito così diversamente, significhi cose così diverse per queste due figure? Ovvero una merce, un prodotto destinato alla vendita e d’altra parte invece la speranza di sostentamento invernale per una famiglia di contadini?
La domanda non è infondata, infatti viene quasi il sospetto che non stiamo parlando della medesima cosa. Sebbene portino lo stesso nome i pomodori che trovano posto nel bancone di un supermercato e quelli che crescono testardi in un orto tradizionale di un ancor più testardo contadino che li coltiva per sostentare sé e la sua famiglia infatti non sono la stessa cosa. Sono due oggetti diversi. È diverso il loro colore, la loro forma, le loro dimensioni, il loro odore e soprattutto il loro sapore. L’uno si consuma, l’altro si mangia, l’uno è una merce, l’altro un bene.

domenica 2 dicembre 2012

Il temporaneo-contemporaneo della nuova urbanità rurale: i wwoofers, clerici vagantes del terzo millennio


Come può un luogo ‘dimenticato’ e ‘marginale’ di uno dei tanti territori rurali italiani tornare ad essere frequentato? Come può una luce riaccendersi dopo anni di buio in una casa e riacquisire una sua ‘centralità’ cognitiva ed emozionale rispetto alle rotte di viaggiatori e passanti? Più che di ‘abbandono’ di un luogo sarebbe meglio parlare di ‘metamorfosi’e se a metamorfosi seguono metamorfosi allora anche ciò può avvenire.
Tanti luoghi rurali sono stati lasciati vuoti dai loro abitanti nei decenni  scorsi per correre in città e verso una nozione di progresso veicolata da media e istituzioni e tutto ciò ha prodotto lo spopolamento che ha innescato una metamorfosi nel segno in alcuni casi di una rinaturalizzazione dei luoghi rurali. Questo però ha creato scoraggiamento in quelli che sono rimasti che non hanno saputo (o voluto) più correttamente decodificare le potenzialità dei luoghi.
E così lentamente questi territori sono diventati ancora più marginali. Solo una nuova riconversione dalla città alla ruralità (una nuova metamorfosi antropologica) può invertire la rotta e ciò in alcuni casi sta avvenendo, casi però ancora pionieristici nonostante la crescente attenzione a questi temi che si comincia a registrare nelle città.
La nostra esperienza col progetto Casale Il Sughero – Laboratorio della Città del Quarto Paesaggio è un piccolo esempio di riconversione produttiva e di riposizionamento esistenziale in questi anni di profondi cambiamenti, anche attraverso l'ospitalità rurale wwoof. Vediamo insieme di cosa si tratta.

Nuove ruralità del Quarto Paesaggio: appunti per un possibile approccio semiotico


Altrove è stato messo a tema il concetto di ‘turismo’ (cfr. Turismo e 'anti-turismo'): crediamo che esso non sia tanto un fenomeno da osservare nelle sue dinamiche di manifestazione nei luoghi turistici ma a partire invece proprio da luoghi apparentemente lontani, come quelli del quotidiano (città, contesti di provenienza dei turisti) e nella peggiore delle declinazioni (che sembra però quantitativamente la più frequentata) appare sempre più come uno sfogo, un sintomo del malfunzionamento di una società, dell’insoddisfazione e frustrazione di fondo della società contemporanea. Il piacere della scoperta del viaggio troppo spesso lascia il posto al desiderio (forse solo al bisogno?) di congiungersi a un oggetto di valore le cui fattezze sono spesso state artatamente costruite e indotte dalla società del consumo. Da qui la differenza tra consumare (anche un territorio) ed esperire un luogo.

I contrasti tra il moderno e l’arcaico, tra il metropolitano e il rurale che spesso il turismo mette in atto non possono inscriversi in un presunto imbastardimento di un luogo ‘naturale’ e ‘intatto’ (Dio solo sa la purezza e la naturalezza dove stanno di casa, cosa mai esse siano e quale posto occupino semmai piuttosto solo nel nostro immaginario fantastico), come ad esempio dalla presenza di un oggetto di consumo globalizzato o globalizzante ‘immesso’ in un contesto assunto come ‘naturale’, anzi siffatte temporanee commistioni e tessiture lanciano la sfida della contemporaneizzazione dei luoghi sublimi rurali e stimolano la semiosi, la continua interpretazione del reale e dei flussi (di persone e di pratiche) di/in un territorio.