martedì 26 febbraio 2013

E se qualcuno ci parlasse di agricoltura organica e di ibrido fertile in italiano volgare del sedicesimo secolo?


Ibridazione fertile tra natura e cultura come esito concettuale e ripartenza strategica per un nuovo paesaggio 'agri-cultu-rurale'


Giovanbattista Della Porta

Veniamo da un bel viaggio tra le pagine di un trattato cinquecentesco di Giovanbattista Della Porta che, oltre a darci una lezione di umiltà anzi tempo sui limiti dell’uomo verso la natura come farebbe oggi un vero permacultore, ci svela anche un'agricoltura sinergica ante litteram e mette a tema il concetto antico e moderno di ibrido fertile, concetto che nella sua accezione culturale e socio-antropologica ci interroga su di una possibile contemporaneità rurale.


Fin dalle prime pagine del testo De i miracoli et maravigliosi effetti dalla natura prodotti (Venezia, Ludovico Avanzi, MDLX) la magia è presentata come conoscenza della natura e della naturale amicizia e ‘inimicitia delle cose naturali’. Delle varie magie la magia naturale è ‘consumata cognitione delle cose naturali’ ed è presentata come la disciplina (definita anche ‘perfetta filosofia’) entro la quale trovano spazio pure gli studi di agricoltura.
Nonostante la temperie culturale alchimistico-rinascimentale in cui Della Porta è immerso, già si intravede una sorta di razionalismo (e di là da venire poi illuminismo napoletano) ante-litteram: la ‘marauiglia’ e ‘l’autorità’ che avvolgono in un alone di mistero le cose di cui non si riesce a dare una spiegazione razionale (‘quanto le cause sono ascose’) si dilegua miseramente, rassicura l'autore, nel momento in cui ce le spieghiamo.

La magia naturale è  in accordo con la natura perché ne è semplicemente ‘menistra o serua’. L’uomo quindi, il riferimento è anche a Plotino, in quanto mago che opera nella natura e con la natura, si rivela come ‘ministro, e non artefice’ della realtà, poiché la sua arte (la magia naturale) non crea le cose ma ‘ua applicando le cose insieme’, nello stesso modo in cui la natura produce le essenze vegetali e l’agricoltura è 'disciplina che si adopera a che l’uomo ne tragga massimo beneficio senza andarle contro'.
Nel mondo naturale, tra le cose, le piante e gli animali esistono rapporti di affinità e di repulsione, mossi da reciproca convenienza o meno (‘conuenientia e disconuenientia’). Quel che i greci chiamavano simpatia e antipatia qui son chiamate ‘amicitia e inimicitia’ e si rivelano a noi attraverso il gioco combinatorio delle simpatie naturali.

La prima pagina del trattato
Procedendo nell'appassionante lettura in volgare si entra nel vivo del tema della coltivazione e quindi dell’interazione tra uomo e natura. L’autore tiene molto a ribadire che la natura ‘mostra molte strade’ per intervenire nelle già ‘varie mutationi’ alle quali la natura stessa sottopone le proprie creature vegetali. L’uomo dovrà però ricordare che molte specie sono naturalmente predisposte alla coltivazione (‘uogliano essere coltiuate’) sfuggendo all’inselvatichimento a dispetto di altre che invece ‘non uogliano, anzi l’odiano’ e se sono coltivate a forza addirittura ‘diuentano peggiori’.
Citando Teofrasto l'autore espone i vari tipi di riproduzione vegetale e individua proprio qui, nell’inversione e nella combinazione delle modalità di riproduzione forzata, il ruolo e l’intervento dell’uomo nella domesticazione agricola: egli può operare purché non si sostituisca ad essa, ovvero può operare solo ‘come una seconda Natura’, producendo innesti e facendo esperimenti purché però, si ribadisce, non dimentichi il suo ruolo e i suoi limiti, ovvero sempre appaia ‘uestitosi di quel habito con le ragioni sensate’.

Una scienza naturale agli albori muove i primi passi dalla catalogazione dell’osservazione di tali dinamiche combinatorie, di cui nel testo si ritrovano numerosi esempi relativi sia al mondo animale che a quello vegetale. La loro investigazione genera così un vasto sapere agricolo circa i modi i tempi e le opportunità combinatorie nella coltivazione a scopo alimentare. La concordia tra due o più piante (‘in compagnia ne fa piu gran copia’) non è altro che il beneficio reciproco che esse traggono dalla rispettiva vicinanza o, diremmo in termini moderni e permaculturali, consociazione. Scopriamo e ci troviamo dunque di fronte ad una vera e propria agricoltura sinergica ante-litteram, scienza concreta e astuta alla ricerca del ‘secreto comertio’ fra le piante alimentari. Un ulteriore punto di contatto tra l’agricoltura descritta e la ‘moderna’ orticoltura sinergica emerge in maniera significativa anche nel corso del IV Capitolo del II Libro, ovvero a proposito dell’attenzione al tema del substrato misto con paglia e letame, a cumulo o a buca e alla piantumazione contemporanea di diverse essenze. Altro obiettivo dichiarato, oltre alla maggiore fertilità e al reciproco beneficiarsi delle piante dalla loro vicinanza, il risparmio idrico rispetto alle coltivazioni tradizionali. Nel testo trovano spazio molti esempi consociativi.
Un esempio dei tanti tipi di innesto

Tra le migliori e principali strategie dell’uomo per intervenire nel patrimonio genetico del vegetale alimentare o, con parole sue, ‘nelle sue transmutationi’, la tecnica dell’innesto è quella preferita.
Nel corso del trattato l’innesto appare sempre più come pratica di ibridazione, nella misura i cui la natura ‘per la colligantia di molte e diuerse cose insieme, ne fa uno ristretto indissolubile’. Attraverso gli innesti si generano dei veri e propri ibridi fertili: ibridi poiché ‘saranno di natura partecipevole d’una e dell’altra pianta’ e fertili nella misura in cui, anche se non saranno in grado di riprodursi con successo, danno però vita a frutti ‘marauigliosi’ come, nei numerosi esempi di tecniche e frutti nominati, appare il Melopersico e il Noce Persico, e così via.

La nascita dell’ibrido fertile non appare qui come una forzatura del corso delle cose ma piuttosto come sapiente ‘compositione di tutti li finiti’, ovvero come una piena e felice estrinsecazione delle potenzialità combinatorie e interattive consentite dalla natura e operate dall’uomo: l’ibridazione fa dialogare istanze genetiche affinché esse ‘convengano nel istesso genere, si come duo fiumi, che sorgano dall’istesso fonte’.
Ma ibrido fertile qui è la cifra dell’incontro soprattutto tra l’uomo e la natura, l’uomo che si ibrida col territorio e diventa suo abitante iniziando ad assomigliargli e che al contempo induce all’ibridazione il territorio che, abitato e segnato, si fa paesaggio e spazio vitale.
In altre parole la fertilità sarà principalmente da ravvisare nell’incontro (ibridazione) tra l’uomo e la natura, il cui reciproco rispetto di ruoli e compiti genera sinergia  tra le parti, una sinergia di livello superiore rispetto a quella consociativa tra piante che abbiamo richiamato prima, diremo quindi piuttosto di una sinergia associativa tra gli uomini e il loro mondo, permamente e culturale in quanto altamente morale, proprio – per chiudere con le parole del nostro autore – come una ‘perfetta filosofia’.