Del pomodoro e della sua identità...
A questa semplice domanda verrebbe
facilmente da rispondere che si tratta di un ortaggio, non di origine europea
ma che giunse qui da noi secoli fa dalle Americhe. Altri risponderebbero con
una descrizione, un alimento dal sapore acidulo e dolce di colore rosso e
succoso. Un botanico risponderebbe che si tratta del frutto di una solanacea,
un gastronomo che è un ingrediente importante per molti piatti cucinati e crudi
della dieta mediterranea, un contabile di un supermercato che è un prodotto, un
bene di consumo che trova posto negli scaffali dedicati ai prodotti freschi, un
contadino mediterraneo affermerebbe che è la base dell’alimentazione estiva e
che è importantissimo per le conserve destinate all’inverno.
Potrei continuare ancora per molto, ma mi interessano gli
ultimi due punti di vista, quello del supermercato e quello del contadino. È
possibile che lo stesso oggetto sia
definito così diversamente, significhi cose così diverse per queste due figure?
Ovvero una merce, un prodotto destinato alla vendita e d’altra parte invece la
speranza di sostentamento invernale per una famiglia di contadini?
La domanda non è infondata, infatti viene quasi il sospetto
che non stiamo parlando della medesima cosa. Sebbene portino lo stesso nome i pomodori che trovano
posto nel bancone di un supermercato e quelli che crescono testardi in un orto
tradizionale di un ancor più testardo contadino che li coltiva per sostentare
sé e la sua famiglia infatti non sono la
stessa cosa. Sono due oggetti diversi.
È diverso il loro colore, la loro forma, le loro dimensioni, il loro odore e
soprattutto il loro sapore. L’uno si consuma,
l’altro si mangia, l’uno è una merce, l’altro un bene.
Ma non è tutto, perché col loro sapore diverso veicolano una
differenza ancora più importante, quella di valore.
Mentre i primi sono anzitutto e perlopiù investiti di un valore economico, di merce, ovvero di oggetto
di scambio di denaro, i secondi posseggono e mostrano un valore piuttosto identitario: i primi sono oggetti
globalizzati, strumenti di guadagno, i secondi invece portano con sé la
specificità del luogo in cui sono coltivati, quella della mano e della sapienza
di chi li cura, la diversità genetica che li lega al luogo di generazione, il
sapore e l’odore della terra in cui sono cresciuti e maturati.
Inoltre è facile intuire come un pomodoro possa essere inoltre
non solo il frutto di un gesto agricolo
ma anche di un gesto gastronomico
perché con esso (di esso) ne si fa qualcosa oltre a mangiarlo…
Entrambi i gesti mostrano una forte valenza identitaria per
chi li coltiva, per chi li mangia, per chi li cucina, per chi li trasforma, ne
custodisce i semi e per tutti coloro che hanno a che fare con esso. Quel
pomodoro ha così un patrimonio genetico che non è solo biologico ma anche
immateriale, dice della specificità di contesto antropologico e sociale. È
anche quindi un terzo gesto, un gesto culturale.
Il suo valore dunque, se pur anche economico (ma nel senso
di scambio e non di accumulo), è soprattutto identitario. Ma c’è anche un terzo valore che il pomodoro può avere,
un valore politico. In un mondo in
cui l’industria dell’agricoltura divora risorse, terreni, acqua potabile, combustibili
fossili e affama o avvelena popolazioni invece di sfamarle, un mondo in cui per
converso le campagne sono sempre meno abitate e abbandonate al loro destino di
periferie sterminate tra una conurbazione e l’altra, tra un inceneritore e una
centrale atomica, tornare a coltivare un piccolo appezzamento di terreno,
produrre un pomodoro per sfamarsi e per presidiare i territori, per non
dimenticarsi del proprio luogo di origine, per conservare una varietà, per
scambiarlo con altri beni primari di sostentamento e non per produrre
ricchezza, ma anzi per spezzare il meccanismo perverso della nostra
insostenibile economia mondiale, ebbene tutto ciò mostra il valore politico del
pomodoro e apre a un quarto gesto:
produrre un pomodoro è un gesto
rivoluzionario.
Tornando alla domanda iniziale, vediamo come non è affatto
banale chiedersi cosa sia un
pomodoro, e se solo per un attimo sostituiamo al pomodoro qualsiasi altro bene di sostentamento (non merce) intuiamo facilmente qual è la
posta in gioco di questo discorso, a quale gioco si gioca quando si entra in un
lucente supermercato e quando si incontra invece una schiena curva in un campo.
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