Seppur ancora all’inizio di un lungo cammino, come abbiamo sostenuto in diverse occasioni e lezioni, e soprattutto sperimentato
direttamente sul campo in questi anni, ritengo che esistano vari tipi di
sinergia nel campo dell’orto-frutticultura sinergica.
Parlo infatti propriamente di 3 livelli.
Il primo livello di
sinergia (delle piante tra loro) è
quello caratterizzante un’aiuola sinergica, ovvero della sinergia che si crea
tra le piante la cui vicinanza e alternanza reciproca giova ad entrambe, allo
stesso tempo causa ed effetto della condizione omeostatica (o quasi, ovvero in
assenza di variabili contingenti autoctone che rimettono sempre in discussione
il delicato equilibrio biologico creato) del terreno, ovvero della sua auto-fertilità
ottenuta con l’ormai celebre metodo di non lavorazione del substrato (anche
questo è un caso limite, più una tendenza che uno stato di fatto duraturo ed
efficace poiché spesso si rende invece necessario un nuovo scasso del terreno
per le variabili ambientali e imprevedibili di cui sopra).
Un secondo livello
di sinergia (delle piante con gli
animali) lasca intravedere una più ampia concezione di sinergia, ovvero
quella che si crea in permacultura all’interno di un sistema abitativo e colturale
complesso come può essere una fattoria o un fondo impegnato in maniera
diversificata (anche ad esempio con la cerealicoltura). Qui la sinergia è tra l’orto
o il frutteto e gli animali che pascolano (ovicaprini, bovini, equini, animali
da cortile), il cui impatto tende a ridurre la presenza di infestanti regolando
la crescita delle specie e contribuendo, attraverso il letame, alla
fertilizzazione del suolo. Inoltre lo sfalcio alimentato da parte del letame
non raccolto per l’orto servirà a nutrire gli animali in assenza di pascolo
fresco, e quindi a garantire la produzione di letame. In questo secondo livello
vediamo come il cerchio della sinergia si allarga anziché avvitarsi su se
stesso e la fertilità aumento per il beneficio di tutti gli attori in campo.
Un terzo livello
di sinergia (dell’uomo nella comunità
agricola) è quello che deriva dall’integrazione del coltivato con lo spontaneo
(ricco di biodiversità) e di entrambi con le zone boscose e sotto-frutteto
dedicate al pascolo e alla raccolta spontanea stagionale e alle colture autoctone
perenni. Il beneficiario di questa armonia, dove il cerchio dopo essersi
allargato si chiude, è l’uomo che vive
in sinergia col suo habitat e a sua
volta con i suoi simili che con lui contribuiscono a curare la fattoria o il
fondo agricolo. Il target è rifiuti organici zero, riuso di ogni prodotto della
zootecnia in agricoltura e viceversa (come nel caso più semplice delle lettiere
per gli animali e il fieno spontaneo). Quest’ultimo livello di sinergia
comprende gli altri due e si manifesta nell’equilibrio socio-antropologico di una
comunità o di un nucleo.
Alla luce di queste considerazioni ritengo che parlare di
autoproduzione e autosostentamento relativamente solo alle aiuole sinergiche
sia solo effetto di vanità modaiola del momento. Se i guru dell’orticoltura
sinergica si rendessero conto che ‘l’orto nel cassetto’ fa tendenza ma non
sfama sul serio le famiglie perché le variabili ambientali possono essere tante
che minacciano l’equilibrio in un orto in pieno campo o ai margini di un bosco e
molte specie orticole hanno bisogno di spazio e serialità per donare quantità
significative di ortaggi per fare le conserve per tutto l’anno (ad esempio i
pomodori) allora si parlerebbe, di aiuole semi-sinergiche, in contiuo
equilibrio dinamico faticosamente perseguito grazie alla presenza costante dell’uomo,
anche se prende in mano la vanga più raramente.
Inoltre, se si fosse tutti più seri in questo campo di
scoprirebbe che solo un sistema verticale complesso di più livelli di sinergie
(comprendenti regno animale e vegetale, e non solo vegetale) rende giustizia di
un equilibrio più alto e più stabile che è quello del sistema-fattoria.
L’autosostentamento (anzitutto bisogna ridimensionarlo
chiamandolo alimentare e solo in parte – col bosco – energetico) può essere un
obiettivo a cui tendere solo in un sistema del genere, che impone un
cambiamento di vita, di ritmi, di abitudini e di pensiero affatto radicali. Non
è possibile, ad esempio, atteggiarsi a orticoltori decrescenti facendo l’orticello
in vacanza oppure andare a svernare nelle comode città o altrove e poi
dedicarsi nei mesi ridenti alle pratiche sinergiche. Lì non c’è alcuna
sinergia, che invece passa anche per i mesi più bui e nel silenzio delle
campagne spopolate.
Il cammino che con la fondazione della fattoria in
transizione Casale Il Sughero abbiamo avviato si propone di tendere
progressivamente al più alto livello di sinergia passando per i primi due: un
progetto di permacultura a lungo termine sul campo che sperimenta esso stesso prima
di calarsi dall’alto dei libri stampati.
Con la suddivisione del fondo in zone (abitativa, orticola,
animali, frutteto, bosco) si tende a creare sinergia tra settori e attori al
fine di rendere il fondo un piccolo esempio di agricoltura permanente (dando
risalto allo spontaneo alimentare) autoalimentantesi e parzialmente
autosufficiente. Un microcosmo dove la parola auto sostentamento, nonostante le
dimensioni ridotte del terreno di partenza, può cominciare a prendere corpo,
seppur parzialmente.
Il luogo contemporaneo di Casale Il Sughero, non a caso
Laboratorio del Quarto Paesaggio, si tiene ben stretto al suo carattere di
temporaneità e per questo è luogo di continue sperimentazioni alla ricerca del
suo equilibrio dinamico.
Dopo i primi passi mossi in questa direzione ciò che immediatamente
emerge è la consapevolezza della necessità della diversificazione delle
produzioni per poter coprire diverse esigenze alimentari familiari ed evitare
le monocolture, distorsioni dell’agricoltura industriale. Adottando principi di
buon senso e di onestà non è difficile capire come sistemi integrati di autosostentamento
in aree rurali abbiano costituito di fatto per secoli (e in alcuni casi
resistono ancora alcuni esempi) gran parte della realtà agricola e siano stati
veri e propri sistemi economici per comunità resilienti, silenziose e durature,
più durature e oneste e sobrie di chi oggi si riempie la bocca di proclami
salvifici e di troppo ostentate ‘felicità decrescenti’.
utili riflessioni
RispondiEliminaCosa può fare un metalmeccanico con pochi soldi?
RispondiEliminamolto, perché i soldi servono ma fino a un certo punto, poi inizia il baratto, lo scambio di tempo e di saperi, l'opinione sui social, l'educazione dei figli, la convivialità...valori non monetizzabili.
Eliminanel concreto dell'agricoltura cercare di sostenere piccoli produttori che lavorano sull'auto-sostentamento e sul piccolo sosotentamento critico di chi li conosce e li va a trovare per prendere da loro un po' di cibo pulito, eticamente e chimicamente! poco ma giusto, perché il giusto non è poco ma tanto, talmente tanto che non ha prezzo.